Anche gli zapatisti rinunciano alle armi. Dicono che il Messico ha sofferto abbastanza, che ci sono stati 100 mila morti e almeno 30 mila scomparsi negli ultimi dieci anni. Che non saranno loro a provocare altri lutti e altro dolore. Così, con una scelta che esprime il segno dei tempi, un’altra importante guerriglia clandestina del Continente Centro e Sudamericano decide di inforcare la penna al posto del fucile. Dopo le Farc, l’esercito ribelle più longevo della lotta armata nell’efismero, ecco l’annuncio che mette fine ad almeno un secolo di guerra a bassa intensità.
TROPPO SANGUE
La decisione del movimento zapatista, L’Esercito zapatista di liberazione nazionale (EZLN), guidato fino a tre anni fa dal subcomandante Marcos, probabilmente un docente universitario messicano di letteratura e filosofia, arriva senza che sia mai stato raggiunto un accordo di pace con le autorità centrali o siano stati conquistati i diritti basilari rivendicati dagli indigeni del Chiapas. “E’ il sintomo più evidente”, commenta Jesús Silva-Hergoz, professore di Scienza al Politecnico di Monterrey e politologo, “di quanto i messicani ormai sono esausti dalla violenza. Solo nei primi 8 mesi di quest’anno sono state uccise più persone che in tutto l’anno scorso. Il radicalismo, oggi, sta puntando al pacifismo. Perché la vita pubblica, sociale, economica del Messico è stata segnata per troppo tempo dal sangue”.
SOLIDARIETÁ
Il Movimento zapatista emerse in pubblico nel 1994 quando centinaia di guerriglieri invasero a cavallo e a piedi il centro di San Cristobál de las Casas, capitale dello Stato del Chiapas, s’impossessarono di un palco eretto nella piazza e ascoltarono le poche parole di quello che venne chiamato il subcomandante Marcos. Da allora i zapatisti restarono confinati nelle loro terre difendendo i diritti spesso calpestati dai politici e dirigenti amministrativi locali nominati dal governo centrale. La lotta portò a duri momenti di scontri, con arresti, inseguimenti, sparatorie e attentati. Gli eventi non riuscirono a piegare il Movimento zapatista che oppose una forte resistenza sostenuta dalla popolazione locale. La loro battaglia varcò i confini del paese e finì per attirare le attenzioni della comunità internazionale. In un solo hanno riuscirono a conquistare una vasta solidarietà, e notorietà, in tutto il mondo.
Centinaia di attivisti internazionali raggiunsero quella terra isolata del Messico e misero a disposizione la propria conoscenza e professionalità. Quando ebbi occasione di andare in Chiapas, con l’obiettivo impossibile di intervistare il subcomandante, mi fermai un paio di giorni a la Soledad, il villaggio dove l’EZNL si era installato. In giro si vedevano pochissime armi. Più che altro si notavano visi europei e nordamericani: ragazzi e ragazze che non erano arrivati in questo angolo sperduto del mondo che sembrava un vero paradiso per fare la rivoluzione. Erano stati inquadrati e organizzati in gruppi a secondo del progetto che intendevano realizzare. Tra questi parlai con una ventina di studenti della facoltà di Fisica de la Sapienza a Roma che stavano costruendo una turbina elettrica. Un’enorme cilindro di acciaio che avevano poi posizionato su una cascata del fiume che scorreva vicino e che avrebbero inaugurato nel giro di una settimana. Mi spiegarono di essere venuti in gruppo dopo aver contattato dei rappresentanti zapatisti presenti in Italia. Molti erano convinti di andare in battaglia, si aspettavano di essere arruolati nell’esercito dei zapatisti. Non fu così: ai futuri fisici dei Roma chiesero una cosa più importante. Il villaggio era al buio e aveva bisogno di elettricità. Il governo centrale ovviamente non aveva raggiunto quel quartiere generale. Lo lasciava ai margini, oltre una fitta foresta pluviale attraversata solo da una strada sterrata, piena di buche che sembravano fossi, pietre e larghe pozzanghere.
Non so come gli italiani riuscirono a procurarsi tutti i pezzi per fare quella enorme turbina. So solo che ci hanno lavorato un mese e alla fine la misero in funzione. E’ merito loro se adesso il villaggio ha anche la luce.
ALLA LUCE DEL SOLE
Ci sono altri decine di progetti portati avanti da volontari di tutto il mondo. Si fermavano secondo delle necessità. Nessuno poteva restare senza fare niente. Una speciale commissione formata da indigeni e indigene del posto li accoglieva, mostrava il campo, chiedeva cosa fossero capaci di fare e poi assegnava loro un compito preciso.
Adesso, gli zapatisti puntano a fare il lavoro politico dentro il sistema. Alla luce del sole. Hanno già indicato un loto candidato alle prossime elezioni presidenziali. Si chiama Maria de Jésus Patricio Martinéz, una curandera della popolazione indigena Nahua. “In Messico”, ricorda la Martinéz, 57 anni, che si dichiara non zapatista, “essere indigena, per di più donna, significa essere una mezza persona”. “Siamo giunti ad un momento decisivo per il EZNL”, spiega Carlos Gonzáles, portavoce del National Indigenous Congress, un’organizzazione che rappresenta i gruppi indigeni in Messico. “Proseguire in questo modo non aveva più molto senso. Abbiamo scelto di rinunciare alle armi per imboccare la strada delle pace. Questo non significa che la lotta armata possa riprendere in futuro. Le nostre priorità, in questo momento, sono altre”.
L’obiettivo degli zapatisti non è tanto quello di vincere le elezioni del 2018. Ma di usarle per promuovere la loro piattaforma che punta a rilanciare le rivendicazioni delle comunità indigene. La candidata mette un po’ di paura. E’ stata attaccata e criticata. Soprattutto da sinistra. Classica miopia politica di chi teme erosioni di voti. “E’ solo uno show”, ha sostenuto con raro disprezzo Andrés Manuel López Obrador, un leader populista su cui punta la sinistra.
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